Le festività incombono, e si dice che a Natale siamo tutti più buoni. Eppure non mi sento diversa, nemmeno un po’.
Forse sono già buona? O forse è quest’anno che è ancora strano, come quello scorso: con le mascherine addosso e le notizie costanti sui contagi, è il tedio l’emozione prevalente. O è il nuovo lavoro, così impegnativo, per il quale dicembre non è un mese scarico, ma anzi, è uno dei mesi più intensi: così la stanchezza non mi abbandona quasi mai, e anche se aspetto la fine dell’anno come se fosse uno stacco dalla fatica so bene che è un cambiamento più emotivo che fattuale, perché giorni di ferie non ce n’è.
In tutto questo non percepisco il cosiddetto spirito natalizio: vedo le luminarie, sento il freddo, mangio i dolci, ma poi chissà.
Mi è richiesto di essere diversa? Di fare altro, o di più, o di esibire qualcosa di particolare? Di dimostrare (più ancora che di essere) più buona, più attenta, più qualcosa.
Tutte le persone a me più care, quelle più vicine, non mi chiedono nulla di tutto questo: nulla di diverso dall’essere me stessa, sempre, a prescindere da stereotipi, feste, emergenze.
Per questo anche a Natale sono felice di essere semplicemente io, di essere sub, di appartenere, di sentire come sempre i brividi di desiderio che mi risalgono da in mezzo alle gambe, di agognare ancora colpi e umiliazioni, di avere pensieri che quelli, forse, no, in effetti, non corrispondono a quell’idea normalizzata dell’essere buoni.