Ambisco ad essere la migliore in assoluto. In tutto, anche nell’essere slave – cosa impossibile, poiché ogni persona è peculiare e a sé stante; si può eccellere in qualcosa, non in qualsiasi cosa. E nell’essere slave, non vi sono parametri di giudizio assoluti; non è una gara né una disciplina sportiva: non si fa per sport, in ogni senso. Inoltre ogni persona, ogni sub, ogni slave, ha propri limiti e propri fetish; compararli è impossibile.
Per questo, però, mi ritrovo a sentirmi in competizione con chiunque – anche senza che gli altri ne abbiano la minima idea. Soprattutto quando competo (nella mia testa) per qualcosa che non è una gara.
L’assoluta vacuità di questo mio competere mi porta a un feroce senso di frustrazione, perché è impossibile che riesca nel mio intento. Finisco per non sentirmi mai abbastanza brava; per forza, visto che l’obiettivo che mi pongo è di per sé irraggiungibile.
Finisce così che o rinuncio in partenza a fare qualcosa perché so che non potrò mai essere La Migliore, o che tento di essere qualcosa che non sono, cercando di “elevarmi” (virgolette d’obbligo) al di sopra di me stessa e dei miei limiti, cercando di fare quello che fanno altri anche se non mi piace.
Un sacco di energie sprecate invece di vivermi ciò che sono, ciò che amo, ciò che sento e ciò che mi fa stare bene, in nome di uno standard di perfezione che mi sono inventata da sola e cui nessuno (a parte me) pretende mi adegui.