Corro e corro, salto e rotolo e mi allontano sempre di più.
Ogni tanto mi giro a guardare dall'erba alta e sei sempre più distante.
Perché non mi corri dietro? Perché nemmeno mi richiami?
E mi allontano sempre di più, sempre meno gioiosa e giocosa, sempre meno felice di questa libertà, sempre più piena di risentimento.
Sei sempre più distante e ti odio da morire. Perché sei così distante?
E ancora corro e mi allontano.
Perché non mi insegui per riprendermi?
Perché, mi chiedo, ferma e ansante con lo sguardo rivolto a te, ormai misero puntino sull'orizzonte, perché nemmeno mi richiami?
Che rabbia, che rabbia! Ti odio, ti odio! E ringhio e piango e guaisco, vedendoti fermo laggiù, che pure guardi verso di me, il guinzaglio in mano. Maledetto, maledetto!
Come mi manchi.
E di punto in bianco mi ritrovo a chiedermi se per caso i tuoi fischi non si siano perduti nel vento. Se io abbia più o meno consapevolmente ignorato i primi richiami, per poi allontanarmi fuori portata d'orecchio. E mi rendo conto che non è che sei distante; è che sei rimasto fermo. Sei rimasto fermo.
E io sono corsa via.
E' una lunga strada da percorrere a ritroso in mezzo ai cardi, con la coda tra le gambe. Ma so che non verrai tu a riprendermi. Stai aspettando il tuo cane.
Sarà una lunga dolorosa strada da percorrere a ritroso, ma forse, una volta tornata, mi accorgerò che sarà stata più dolorosa la strada apparentemente gioiosa per allontanarmi da te.
Il guinzaglio non è una costrizione, ma un aiuto per non perdersi.