…sbaglia.
Una cosa è essere felici di ciò che si ha; trovare piacere nelle piccole cose, non stare sempre a inseguire la luna, a desiderare qualcos’altro, perché si perde il senso della realtà. E’ bello e importante sapere apprezzare ciò che si ha, invece che magari scoprire quant’era bello solo quando lo si perde.
Una cosa diversa è però accontentarsi. Ovvero farsi andare bene qualcosa che però non si apprezza davvero, solo perché non c’è niente di meglio disponibile. E’ un modo di fare falso nei confronti di sé stessi; ci si inganna che tutto vada bene mentre si cova una sotterranea insoddisfazione – ed è solo questione di tempo prima che esploda.
Questo è quello che penso. O che pensavo di pensare…
Lui mi guarda e mi dice: “Com’è che ultimamente dici spesso ‘sta frase, ‘chi si accontenta gode’? Cos’è, è diventata la tua nuova filosofia? Ma da quando? Perché lo trovo un po’ triste, ad essere sincero”.
Io allibisco. Da quand’è che la direi spesso? Sul serio? Ma quando l’ho detta? Ok, l’ho detta or ora ma per fare una battuta, si parlava di cibo, mica di massimi sistemi…
Concludo la conversazione in modo frivolo, per non appesantire la giornata. Ma, dentro, mi pongo delle domande. Che succede? Davvero mi sto accontentando? E di cosa? Ho un atteggiamento triste? Non lotto più per ottenere ciò che desidero? L’ho mai fatto, mi chiedo ora? Sto optando per la tranquillità? L’ho sempre fatto?
Sono così diversa da come pensavo di essere?
Forse temo che a combattere per ottenere qualcosa di diverso (di più? di meglio?) risulterei odiosa, antipatica, arrivista e stronza. E dispiacere il prossimo è la cosa di cui ho più paura.