La seggiovia sale. E’ lunghissima, tipo un chilometro e mezzo. Dondola piano, placida, nel silenzio della montagna. Superata la paura dei primi dieci metri mi godo il paesaggio: le Dolomiti, altissime, coperte di neve, Dominatrici inarrivabili; ai loro piedi, stesi in devozione, i boschi accarezzano le loro pendici.
Abeti e larici innevati; in basso, tra i tronchi, osservo i percorsi di impronte lasciati da varie bestiole e provo a indovinarne i proprietari: quella una lepre, questo forse un capriolo? Chissà. Comunque vicino agli impianti il massimo che si vede sono le tracce; gli animali se ne stanno rintanati al sicuro, lontani da questi strani umani che scivolano e ruzzolano sulla neve fresca.
Guardo gli sciatori che passano, più o meno abili, quando il percorso della seggiovia incrocia quello della pista; prima, ero lì giù a scansare i piloni.
Finalmente, sorge l’arrivo della seggiovia. Sollevo il blocco di sicurezza, mi dispondo a scendere con lo snowboard, scivolando lungo il breve pendio, un piede agganciato alla tavola, l’altro libero.
Ed ecco che la mia paura mi colpisce allo stomaco come un maglio. Il pendio è ripido, più di quello di altre seggiovie che ho già fatto. Scivolo, mi sento cadere, non sono capace, cadrò, mi farò male! Istintivamente faccio una cosa stupida: mi aggrappo al seggiolino. La macchina, implacabile, ruota e mi trascina prevedibilmente per terra. Strillo e batto la testa; il caschetto fa CLONC sulla neve battuta.
Un attimo di stordimento; mi alzo a sedere: vedo arrivare il seggiolino successivo. Reazione istantanea, mi stendo di nuovo e quello passa oltre. Mi rialzo velocissima, mi tiro su sulla tavola e scivolo via fuori pericolo.
L’operatore della seggiovia esce dal suo casottino e mi insulta.
Passo i successivi cinque minuti a cercare di calmarmi. Mi viene il panico che la botta in testa mi farà morire entro pochissimo, ma mi calmo ringraziando il mio caschetto (probabilmente non morivo nemmeno senza, ma è più facile gestire l’ipocondria); tremo un po’; mi sento anche un po’ umiliata, sia per gli insulti del tizio (ma lo so che è stronzo lui: se vedi che uno cade, ferma la cazzo di seggiovia, sei lì apposta) sia per la caduta. Tu mi guardi e mi dici: “Ci fermiamo? Andiamo in baita? Vado a spaccargli la faccia? Lo butto giù dalla rupe?”
No: andiamo ancora in pista. Col cazzo che mi faccio abbattere da questo. Andiamo a sciare. Forza!
Faccio la discesa più bella di questi quattro giorni di neve.