Non ricordo più dove avevo sentito parlare la prima volta del libro “The Ethical Slut”. Forse è stato dopo aver letto i primi libri sul BDSM (come “The bottoming book”, che è delle stesse autrici – Dossie Easton e Janet Hardy). Comunque l’ho comprato e letto avidamente, agli inizi del mio percorso di scoperta di me; ho appena preso la seconda edizione aggiornata e ampliata (ma devo ancora guardarla).
Ricordo che il concetto di poliamore mi sembrò subito meraviglioso. “L’amore non si divide: si moltiplica”. Si possono amare con la stessa intensità più persone, ed avere più di una relazione allo stesso tempo, con il consenso e la consapevolezza di tutti. Un modello di relazione non-monogama aperto.
Di certo una parte di me stava trovando giustificazione e autorizzazione ai miei desideri kinky e di esplorazione al di fuori della coppia.
Ricordo benissimo quel paragrafo che diceva “siate pronti a concedere al vostro partner quello che richiedete per voi stessi, per correttezza”. Ero e sono d’accordissimo, anche se non credevo avrei dovuto applicare io quell’apertura mentale. Credevo di essere una persona immune alla gelosia.
Tuttavia la mia personale insicurezza, sommata alla bassa autostima, funse da detonatore per una crisi emotiva e di gelosia notevole, alla prova dei fatti.
Mi mancò, sicuramente, una community con cui confrontarmi. Altre persone con cui parlare di questo. Viverlo nascosti mi isolò nel mio dolore, avviluppandomi in una spirale discendente da cui non sapevo come uscire, né se ne sarei uscita.
Infatti, ho iniziato a risalire la china quando ho iniziato a poterne parlare, con il mio primo vero Padrone.
Quello di cui sono orgogliosa è di non aver mai rinunciato. Non aver mai detto “adesso basta”. Anche nel dolore peggiore, non ho mai ritenuto giusto chiudere, unilateralmente, senza rispetto per i sentimenti delle altre persone coinvolte.
E’ mancata così tanta comunicazione; così tanta comprensione. Sono tuttora sicura di aver subito delle ingiustizie, e di averne comminate. In entrambi i casi, sarebbero potute venire risolte e gestite molto meglio, con meno sofferenza, meno confusione, meno silenzi soprattutto. Meno rancore. Con la consapevolezza che ho ora tante cose sarebbero andate diversamente. Ma si sa, del senno di poi son piene le fosse.
Almeno, sono felice di starmi tuttora tirando fuori. Sto crescendo al di sopra del terreno, ora, o così mi sembra. Ho messo buone radici e sto prendendo nutrimento dal fango che prima mi sommergeva. Leggo, mi informo; scopro nuovi spunti. Prendo nuova consapevolezza di dinamiche possibili, vedo cose che avevo sotto gli occhi ma mi sfuggivano.
Quello che è sempre stato vero è che più mi chiudo e pongo limiti (in primis a me stessa) più sto da schifo; per stare meglio non devo chiudermi di più (anche se ci casco sempre!), ma aprirmi; aprire il cuore, lasciar fluire i desideri, le voglie, le emozioni, i sentimenti. Darmi il permesso di desiderare, di essere me stessa; perdonarmi perché non sono quella che voleva mia madre, o la società, o chissà chi, ma sono io, sfaccettata e strana e incredibile.
Ho ripreso a parlare. Con ancora la paura che la mia opinione non conti e che venga disprezzata, ma ora quella paura la affronto. Comincio a crederci, di avere le palle, e inizio a farle valere.