C’è un momento, mentre sono con altre persone in un gruppo numeroso, in cui d’improvviso mi traslo su un diverso piano di esistenza, in cui sono ancora lì ma non ci sono; vedo e sento, ma non sono più in grado di interagire.
Sono sfasata.
Non capisco se gli altri si accorgono ancora della mia presenza, o se diventi anche invisibile, o solo parzialmente visibile (credo quest’ultima). La mia voce diventa ovattata, flebile: mi pare di parlare ad alta voce ma nessuno mi sente. Gli altri parlano tra loro e io non riesco più ad intervenire, non so nemmeno più cosa dire. Tutti si conoscono tra loro e io non conosco nessuno, nessuno conosce me, né mi riconosce. Mi muovo tra i gruppetti che chiacchierano e interagiscono ma non riesco ad inserirmi; resto al margine esterno, esclusa. Non lo fanno apposta: non sono più sullo stesso piano di realtà condiviso dagli altri; non sono loro ad ignorarmi, sono io che sono fuori dalla loro percezione.
E’ una sensazione devastante. Vorrei potermi avvicinare, essere ascoltata, riconosciuta. Ma in quei momenti è impossibile. Mi coglie la drammatica consapevolezza di non sapere come fare a interagire. In questo sfasamento, perdo le mie capacità sociali.
Allora faccio un sorriso di circostanza, ascolto, annuisco, faccio come se le persone stessero parlando anche con me, anche se non è così. Combatto il disagio e il desiderio di andarmene, visto che non appartengo più a questo consesso. Faccio l’ospite, la tappezzeria, divento parte di quel mobilio di cui ti accorgi ma non ti accorgi davvero: è lì ma ci giri attorno. A volte, è un punto di vista privilegiato: osservo il mondo da fuori, in modo onirico, noto dettagli, prendo appunti mentali, mi godo a vedere gli altri stare insieme, come fosse una proiezione cui solo io sono invitata.
Poi il sogno si spezza, qualcosa cambia di nuovo e torno ad allinearmi con la realtà comune: qualcuno mi guarda, io dico qualcosa, mi torna una risposta, riesco di nuovo a scambiare sorrisi e parole.
Mi resta la paura di non sapere cosa sia successo, il timore di quando questo sfasamento accadrà di nuovo. Prima che succeda saluto, mi allontano e penso che vada bene anche così; so che non è una colpa né un’incapacità ma solo una circostanza: prendo la socialità che riesco a prendere, tutto il resto rimane fuori dalla mia portata.