Piccola – capitolo I

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[Pubblico a puntate un racconto lungo, un “capitolo” alla settimana; ho iniziato a scriverlo diverso tempo fa, ed è ora che lo completi e che veda la luce. Non vi sono raccontati fatti realmente accaduti]

La sera stava calando placida sulla magione, tinteggiando le mura di colori tenui dal rosa all’azzurro, che via via diveniva blu scuro e infine nero all’avanzare della notte. Le finestre rivolte al tramonto rilucevano come diamanti incastonati nei muri, lanciando riflessi come segnali a qualche sconosciuto viaggiatore che si fosse trovato a passare per quei paraggi.
«Ma Padrone…!», la voce di lei risuonò acuta, più di quanto avrebbe voluto, e infantile.
«Ho detto di no, Piccola», ribadì lui, serio, pacato, alzando il viso dal giornale e guardandola direttamente negli occhi. Il suo sguardo significava più di molte parole, e Piccola tacque.
Stringeva i pugni, però, e si tormentava l’interno delle guance coi denti, storgendo il viso in delle buffe smorfie. Lui la guardò per un po’, poi sospirò e riprese la lettura. Sapeva bene che non era convinta, ma per quella sera avrebbe dovuto farsi bastare il suo no. Non era in vena né di assecondare capricci, né di dare spiegazioni. Aveva già troppi pensieri per la testa, e Piccola lo sapeva. Avrebbe dovuto comportarsi bene.
Infine, anche lei sospirò, rilassò le spalle e i muscoli delle cosce e cercò di calmarsi. Si sedette al suo posto, sul grande cuscino di velluto rosso accanto alla poltrona del Padrone, cercando una posizione comoda per accucciarsi; girò su sé stessa un paio di volte, a quattro zampe, come fanno i cani. Immergersi nel ruolo, nella sensazione di essere cane… questo la calmava molto, di solito, e così fu anche quella volta. Si accoccolò con la schiena contro la poltrona e posò il viso sulle braccia incrociate, raccogliendosi in posizione fetale. Una volta ferma, però, a riprendere a girare fu il suo cervello.
Ritornò col pensiero al volantino visto su internet, al sito della festa. Ripensò all’accurato piano che aveva immaginato per andarci, cosa indossare, come giocare, persino che strada fare. L’aveva proposto al Padrone piena di aspettativa… anzi, già convinta di andarci. Non era stata una vera e propria richiesta, ma più una comunicazione. Sapeva che non era proprio un comportamento corretto, ma aveva comunque cercato di forzare la mano, confidando che il Padrone sarebbe stato d’accordo, anzi, forse persino fiero di lei che aveva già preparato tutto. Per questo ci era rimasta molto male quando invece aveva detto di no: niente festa. Non prevedeva di andare a nessuna festa né sm né fetish, non quel fine settimana e certamente non per diverso tempo.
Certo, chiaro.
Alla fine non avrebbe dovuto sorprendersi tanto, rifletté Piccola. Non era un periodo magnifico. C’erano stati litigi con presunti amici, scontri con persone che avevano sparlato di loro dietro le spalle; il Padrone e la Signora erano provati e stanchi, amareggiati e delusi. La sensazione preponderante era quella di combattere contro dei mulini a vento, tanto le illazioni e le persone che le facevano erano elusive, infide e sfuggenti. Piccola stessa si sentiva ribollire di rabbia, ogni tanto, e la sua indole naturalmente sottomessa si faceva da parte per scoprire invece una fiera ringhiante con artigli snudati pronti a fare a pezzi chi facesse del male ai suoi Signori. Ma non era la sua battaglia e lo sapeva, e quand’anche se ne dimenticava interveniva il Padrone a ricordarglielo.
Così poteva solo stare a cuccia mentre sentiva il Padrone arrabbiarsi o la Signora piangere, senza poter far nulla per difenderli, per vendicarli. E ora questo: l’umore dei Signori, causato da quelle malelingue, impediva a lei stessa di andare ad una festa. E che festa! A leggere i promo in rete sembrava dovesse essere la festa bdsm più incredibile mai vista negli ultimi dieci anni, e prometteva di restare ineguagliata per almeno altri dieci anni ancora. Performances! Dungeon! Dress code strettissimo! Artisti, modelle e bondager da mezza Europa si sarebbero trovati lì per mostrare le loro abilità. Ed era a solo un’ora di strada dalla magione! E lei non avrebbe potuto andarci.
Già aveva sognato un ingresso trionfale, un dress code impeccabile, un contegno perfetto – tutto per rendere orgoglioso il suo Padrone, certo, non per se stessa – così si ripeteva. Si sarebbe beata degli sguardi degli altri invitati, sentendosi bellissima e potente nella sua sottomissione, e avrebbe brillato ancor più per la luce che il suo Padrone avrebbe riflesso su di lei con il suo orgoglio. Le si riempiva il cuore di desiderio e di forza a immaginare queste cose… e ancor più le si svuotava rimanendo asciutto e amareggiato quando la realtà tornava a impattarle addosso. Niente dress, niente collare delle grandi occasioni, niente gioco in mezzo alla pista. Quanto amava il gioco pubblico! Ed ecco che la fantasia ripartiva: lei, stupenda, seminuda, piegata o distesa, offerta; il suo Padrone a girarle intorno, magari anche la Signora a danzare con lui attorno a lei, sopra di lei; il volteggiare delle fruste, lo zampillare della cera: divenire una perfetta lucente fontana di dolore e piacere, cantare al tocco dei suoi Signori, planare infine dolcemente fino a trascinarsi in un angolo dove assaporare lo splendore dell’abbandono.
Niente, niente di tutto questo.
Aprì gli occhi di scatto, ancora sul suo cuscino, e si agitò sbuffando. Che fastidio, che immenso fastidio non poter avere per sé tale meraviglia! Eppure era così: niente festa. Il Padrone aveva detto no.
Aggrottò la fronte. Si rigirò sulla cuccia in cerca di una posizione più comoda, ma comunque si mettesse si sentiva a disagio, infastidita e nervosa. Il Padrone calò una mano dal bracciolo per cercarla e carezzarle la testa, per calmarla, ma anche quel contatto di solito tanto amato non le dava pace.
Infine, fu ora di cena e di andare a letto. Piccola consumò il suo pasto a tavola, accanto al Padrone; occhieggiava la sua postazione a terra, con la coperta e la ciotola, accanto alla cucina, ma evidentemente per quella sera sarebbe andata così. Si saziò, disse per favore e grazie e si comportò al meglio: in ogni caso, non voleva arrecare disturbo. I Signori avevano un’aria stanca, provata dal lavoro quotidiano e dai recenti litigi. Piccola non chiese nulla e restò quieta. Finita la cena salutò e andò a prepararsi per la notte. Una volta nella sua stanza attese per un po’ in ginocchio accanto alla porta, ma infine comprese che non ci sarebbero stati altri ordini, per quella sera, né qualche sculaccione o qualche coccola. La stanchezza regnava sovrana, purtroppo. Sospirò e si rassegnò, infilandosi sotto le coperte al calduccio.
Mentre si rigirava in quel dolce stato mentale di placida confusione che regna subito prima di addormentarsi, ripensò ancora alla festa mancata e borbottò: “Potrei anche andarci da sola”, e cadde tra le braccia di Morfeo.
[Segue]

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