Castità forzata

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Chi disprezza compra, si dice.
Chi non può comprare, secondo me, disprezza ancora di più. Così capita a me, almeno.
Dopo quasi tre settimane in cui non mi è permesso masturbarmi, inizio a mettere un muso terribile; mi ripeto che tanto non me ne frega, figurati, non ho nemmeno voglia, non ho tempo, ho altro cui pensare.
E poi mi stendo a letto e lei mi chiama. Mi ci metto su una mano a coppa, coprendola; la sento calda.
Se mi sfioro (raccontandomi che capita “per sbaglio”) si sveglia immediatamente. Come una gatta che ti cammina in faccia pretendendo attenzioni, anche lei è altrettanto delicata e sottile nell’imporre la propria presenza.
Mi rigiro cercando di tornare alla mia pretesa, distaccata superiorità: pfui, non ne ho mica bisogno…
Il tempo passa anche in fretta, se non ci penso. Se davvero ho molto da fare, se durante il giorno sono tanto presa, tanto impegnata – e di solito è così – non sto lì a pensarci, né mi manca (o così mi pare). Ma quando arriva la sera, il tepore del letto mi riporta tra le mie braccia, lontano da pensieri ed impegni. Lei è lì, fa un po’ l’offesa (ero qui che ti aspettavo, sai).
Distolgo lo sguardo, mi scuso, mi giro dall’altra parte e cerco di addormentarmi subito. Allora smette di farmi il muso e torna languida: mi ricorda quanto sia bello lasciarsi andare al suo languore; mi si accoccola dentro e inizia a blandirmi: cerca di convincermi a disobbedire, trovando scuse che sembrino plausibili per ottenere soddisfazione senza che ne subisca le conseguenze, s’inventa storie per cui non sarebbe proprio proprio disobbedire …e quasi quasi le credo, vorrei crederle, vorrei cederle e godere, collassando svuotata in un sonno drogato.
Infine mi addormento ugualmente, ma con un senso di mancanza.
È forse, davvero, una compulsione, una dipendenza; ma è una così dolce compulsione, una così bella dipendenza che mi dispiace abbandonarla. Se anche è un vizio, vorrei non smettere mai di essere viziosa in questo modo.

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