Ghiro

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Ci sono momenti, periodi nella mia vita, in cui mi ritirerei solo in letargo.
Mi avvolgo in un bozzolo di coperte – vere o solo mentali – e mi appisolo. Non voglio più saperne niente, di quel mondo freddo ed ostile là fuori. Voglio solo dormire, lasciare che l’inverno mi passi oltre senza doverne affrontare le asperità; alzarmi solo per l’urgenza ormai improrogabile di fare pipì e tornare ad abbozzolarmi al calduccio. Mangiare, bere, dormire; sognare. Aprire un occhio, guardare l’ora e voltarmi dall’altra parte. Masturbarmi, magari, e riavvolgermi in me stessa, farmi cullare dal dolce intontimento post-orgasmo; sentire solo tepore.
Invece.
Invece la vita mi richiama, mi trascina fuori dalla mia cuccia calda. Mi attira, mi lusinga; mi promette avventure. Mi alimenta desideri, voglie di altro che non sia solo l’indolenza. Voglia di far partire un movimento invece che resistere solo nell’inerzia.
Allora esco, respiro nell’aria fredda e guardo il vapore del mio fiato alzarsi verso il cielo; torno a imparare a guardare in alto, a guardare lontano; oltre le nubi grigie, oltre la nebbia, oltre il gelo. Lascio che il freddo mi scaldi, mi stimoli un calore che sia mio, interno, non qualcosa di avvolto attorno che mi impantana ma una fornace ardente che mi smuove.
E dopo aver bruciato, aver corso, aver affrontato questo ghiaccio, mi torna daccapo la stanchezza, il bisogno di ritirarmi in letargo.

Un inverno così: dentro la grotta, fuori nel lago.

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