Una forcina alla volta, mi sciolgo i capelli. Sfilo l’elastico e smuovo i lunghi ricci, ravvivandoli dopo la lunga costrizione nello chignon. In questo momento ritorno del tutto dallo spazio di slave. E’ segno che non sono più presso il Padrone, sto tornando a casa.
A volte compio questo gesto trasognata. A volte dimentico di farlo. A volte lo faccio in modo goffo, già mezza addormentata, e solo perché appoggiando la testa le forcine mi si sono conficcate nel cranio, facendomi male. A volte, invece, lo faccio con un forte senso di malinconia, di lontananza e nostalgia. Forse, delusione. Capisco che preparo la strada al sub drop, ai profondi sospiri che mi accompagneranno fino al prossimo incontro; ai pensieri convoluti.
Lascio che i capelli mi cadano davanti al viso, che si arrotolino intorno al collo mentre mi sollevo il cappuccio della giacca sopra la testa. Mi avvolgo in me stessa usando i capelli come un bozzolo; mi richiudo e mi raccolgo, per conservare il calore, per farmi piccola. Mollo le cime della mia coscienza e mi lascio andare alla deriva; confido nel mare che mi culli, che col suo dondolìo mi dia quiete.
Bene o male approdo sempre, di nuovo, sulle sponde del mondo reale, di una nuova quotidianità da affrontare. Con lo sguardo un po’ più offuscato, o un po’ più perso in lontananza: rivolto a qualcosa che è dentro di me. In uno stato transitorio che so passerà, riportandomi in lidi più dolci ed accoglienti.