All’inizio l’atmosfera è sempre sospesa.
Le persone si aggirano guardinghe lungo i muri, tirano sguardi timidi agli altri presenti; le mani nelle tasche o dietro la schiena, il passo dondolante, tutti sembrano in attesa di qualcosa.
Ci si aspetta forse l’arrivo di un qualche gran sacerdote, una figura autorevole, potente e immediatamente riconoscibile, che dia inizio ai giochi; che compia un rito, forse, che declami delle parole chiarificatrici: sì, la festa è iniziata, potete giocare.
Mi guardo anch’io intorno ma non appaiono né papi né alti prelati del BDSM; i dress sono sfavillanti, lucidi, ma nessuno è investito di una carica altisonante.
Ognuno è sacerdote di sé stesso e della festa.
Infine, in un angolino, qualcuno comincia ad attaccare mollette ad un seno, dall’altro lato della sala si ode lo schiocco deciso di un frustino; in silenzio, in sala clinical gli aghi vengono infilati nella carne ed il solo suono che si sente è quello, assordante, dell’emozione.
Pochi istanti dopo, il salone che appariva vuoto è pieno: tutti giocano, guardano, si eccitano; ognuno agisce la propria arte, il proprio desiderio. Sangue e cera colano su corpi vibranti; vi sono sguardi persi nel vuoto, respiri affannosi o profondi, chiacchiere, risate, mani, piedi, tacchi, cuoio e lattice.
Ancora pochi istanti dopo è l’alba, la notte è fuggita veloce, spazzata dal movimento delle fruste.
Mi siedo a terra, guardo il cielo che si rischiara e respiro l’aria fredda dell’aurora. Una festa meravigliosa.