Nella distanza fiorisco: mi sento un aquilone, che vola in alto ma sempre ben assicurato alla fune che lo lega al suo padrone. Quella fune, che controlla lasciando volare, è per me la distanza verticale del D/s, il senso di appartenenza, il legame che mi fa sentire protetta: una cessione di potere che però mi permette e anzi mi incoraggia a migliorare. Una guida.
La lontananza, al contrario, mi distrugge. Lontananza è assenza, disinteresse; è parlare del tempo, fare finta che vada tutto bene, mancanza di comunicazione. E’ tempo e chilometri e pensieri che si mettono in mezzo e diluiscono le emozioni (come invece la distanza le intensifica).
La lontananza è far volare via l’aquilone, fino a far spezzare la corda, o finché non finisce e sfugge dalle mani del controllore. Allora è perduto, e la speranza di ritrovarlo incastrato in un albero è poca, e anche se lo si ritrova non è detto che si possa aggiustare.
Nella distanza mi accomodo e attendo.
La lontananza invece mi spinge all’isolamento; mi porta ad allontanarmi ancora di più per non soffrirla. Rischio così di perdere di vista l’altro capo della fune, di non saper tornare e di lasciarmi scuotere dalle intemperie emotive che mi trascinano via, fino a farmi male.
In questo nuovo lockdown, in questo distanziamento forzato, torno ad accucciarmi dentro di me nel mio luogo sicuro dove attendere, fiduciosa della tenuta della fune.