Faccio fatica a lasciare andare il controllo, in generale; facendo corde, all’inizio sono tesa, ho sempre paura che succeda qualcosa, che ci sia un incidente, che mi faccia male, o di restare bloccata.
Poi però la scomodità, il dolore, la costrizione, l’umiliazione mi portano via, portano via i pensieri. Mi fido e mi affido a chi mi mette in predicament.
Una volta le corde non erano nelle mie corde (ah ah): venire legata era un esercizio che non mi diceva niente, non mi dava niente. La mia esperienza si limitava ad essere insalamata e sospesa per brevi momenti a qualche play party, per l’estetica della cosa, o su invito, ma senza un reale interesse da parte mia.
Invece, poi, ho scoperto che potevano essere dolorose, costrittive in un modo che non credevo. Pensavo che si trattasse solo di estetica, di un esercizio di bravura del rigger. O di non essere io adatta perché poco atletica.
Invece no: comunicano. Riesco a sentire attraverso le corde; certo ho imparato ad ascoltarle, e ho incontrato chi ha saputo usarle per trasmettermi qualcosa di significativo. Sicuramente, ho imparato a chiederle: ora le approccio in modo consapevole e dunque io stessa riesco a trasmettere quello che sento, poiché ora lo sento, mentre prima restavo indifferente.