Randagia

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Finite le coccole e l’esibizione di corde, ho salutato e mi sono allontanata, cercando persone conosciute.

Allora ho scoperto un gioco molto divertente: nessuna delle persone che mi conoscono mi riconosceva.
Mi sono messa a salutare apposta le persone, per vedere il loro sguardo di smarrimento all’approccio di una persona-cane. Dal panico tipo “che vuole questa da me” alla perplessità del “ma chi cavolo sei?!”. Ho riso e mi sono (un po’) rilassata.

E poi ho capito: cos’è un cane senza collare se non un randagio?

Così è in questo modo che mi sono presentata poi. Mi è sembrato essere un status migliore rispetto alla solitudine, con una sua dignità solitaria che veicola un senso di autonomia e al contempo un desiderio, una nostalgia di appartenere.

Lui lo conosco da tanto, ma senza averci mai parlato molto; un rocker, piccolo e nervoso, in senso letterale: asciutto, un fascio di nervi, un sorriso famelico dentro la barba grigia. Quante volte ci siamo incrociati al Project, ai peer rope, al Kinksters come stasera? Mai avuto occasione o pensiero di giocarci, pur con quella sensazione di affinità che sentivo.

Quando lo incontro sono di nuovo in piedi: tentenno tra il presentarmi come sono di solito e l’essere presente solo come cane; gli dico che sono randagia e flirto, lo so che flirto, è un flirt da bottom a Top. Non ricordo cosa gli ho detto, ma subito dopo mi spinge a terra e affonda le dita nella mia carne.

E’ così immediato, improvviso: mi toglie il fiato. E’ quello che voglio? E’ quello di cui sento il bisogno. Mi apro alle sue mani – piccole e crudeli come lui stesso mi fa notare: ho sempre avuto un fetish per le mani grandi, ma le sue sono dure e precise e infliggono un dolore secco, netto, potente.

Quando subisco abbasso la testa. E’ un istinto innato. Chino il capo in un’espressione spontanea di sottomissione, che è anche un ritiro dentro me stessa ad ascoltare il dolore che mi viene dato; è un abbassarsi e un proteggermi, un darmi e un sentirmi.

“Dammi i tuoi occhi”, ordina.

Più delle dita che mi stritolano i seni, più dei palmi che mi impattano nella carne, è il doverlo guardare negli occhi che mi sconvolge. Alzo lo sguardo e il mio sguardo è perso. Che cosa vede, che cosa c’è nei miei occhi ora? E’ paura, è piacere, è sofferenza, è desiderio? O tutte queste cose mescolate in un vortice unico? Sono annichilita dallo sguardo diretto, mi spoglia di ogni mia protezione e mi espone più ancora della nudità.

Passiamo la serata tra intermezzi di chiacchiere e sessioni di dolore e scambio di vortici.

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