C’è stato un sedile di plastica in una vecchia A112 ormai rottamata. Ed un altro, di stoffa, in una station wagon Renault. Sedili posteriori accanto al finestrino. Sedili che hanno sentito, percepito e sostenuto i sogni, i desideri, le voglie sconfinate e insoddisfatte della me stessa bambina e adolescente.
Su quei sedili viaggiavo, in vacanza coi miei ed il mio fratellino, guardando il mondo scorrere fuori dal finestrino. Ascoltavo Tozzi, Vecchioni e De Gregori, di cui i miei mettevano le musicassette nel mangianastri, e sognavo ad occhi aperti.
Quei sedili si sono scaldati e bagnati del calore che mi scorreva copioso tra le gambe.
A ondate, seguendo i crescendo della musica e i saliscendi delle strade, inalando il calore di quei pomeriggi estivi, fantasticavo di sesso: immaginavo mani che mi si infilavano addosso, sogghigni di ideali stupratori che si approfittavano di una me stessa calda, indifesa e vogliosa. Arrivavo in spiaggia che scivolavo.
Non ho mai smesso di immaginare, di sognare. Di rendermi scivolosa.
Ancora oggi, viaggiare sul sedile posteriore mi riporta bambina – quella bambina precoce e bagnata che sono sempre stata.