Graffi

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graffi

Mentre mi riga la schiena con le unghie, penso: non voglio far finta di dire di no, né arzigogolare richieste ossequiose; voglio dire davvero che ne voglio di più. Voglio ammetterlo, anche a me stessa. Più graffi, più profondi. Contatto con un corpo caldo, non con un freddo strumento; sentire che il calibrare della forza con cui mi viene inflitto dolore è totalmente alla volontà del Padrone. Non c’è errore, mira sbagliata, errata valutazione di traiettoria o carico. Non c’è puntura, impatto, sorpresa. C’è il brivido del solco, il lento avanzare del dolore nella mia carne, il crescendo.
Sono nelle Sue mani.

Dico: di più. Per favore. Di più.
Affonda.
Divento un fascio di carne e sensazione; esisto solo per essere graffiata, segnata, scavata, dilaniata.

Per fortuna ha Lui il controllo; perché in questo istante, se fosse solo per me, mi lascerei distruggere. Mi farei fare a brani: mi consegno a occhi chiusi al mio carnefice e spero solo che mi faccia sanguinare – tutto il resto scompare. Ma, per fortuna, il controllo lo ha Lui.

Mi lascia con la carne rossa e gonfia e la testa leggera, gli occhi socchiusi ed un mezzo sorriso incagliato sulle labbra.

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