Sottosopra

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A un certo punto mi rendo finalmente conto di cos’è questa strana sensazione che ho, questo senso di scombussolamento, questo panico addirittura che ogni tanto mi attanaglia lo stomaco.
Tutto il mio mondo, la mia esperienza, tutto ciò che conoscevo e che era diventato rassicurante abitudine… è stato capovolto.

Ero abituata ad un Master freddo, asessuale, distante, silenzioso. Ogni carezza, ogni tocco era un dono, una concessione. Non avevo il permesso di guardarlo in viso, né di abbracciarlo, né di avere sue fotografie. Mi toccava quando mi graffiava e, ogni tanto, mi mordeva. Anelavo a lui e non avevo il permesso di anelare. In sessione era la musica a dare il sonoro; lo sentivo bisbigliare con lei, per me poche parole, precise.

A invece mi travolge.

Mi carica, mi sommerge, mi trascina, mi divora. Affogo nella sua presenza fisica, nella sua voce, un parlare quasi ininterrotto. Non sono mai sola con le mie sensazioni: lui si impone, occupa ogni spazio dei miei sensi, ogni intercapedine del mio sentire. Si infiltra, si fa strada e sfonda: trova la crepa e la apre.

E’ completamente diverso da tutto ciò che ho conosciuto finora.
Ho cercato un pattern, una strada conosciuta, sensazioni note; ho provato a riportare ciò che sentivo a quello che avevo già provato – non l’ho fatto apposta: il mio inconscio si aspettava certe cose, in un certo modo. Quando si è trovato di fronte all’uragano, è rimasto di sasso a fissare il vento che scoperchiava le case.

E adesso sto volando, lontano dal Kansas, col mio vestitino azzurro, le trecce e le scarpette rosse.

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