Occhi che brillano e culo in fiamme.
Seduta ai piedi del mio Padrone, sul duro pavimento coperto di linoleum nero, ascolto il canto del dolore che pulsa dal mio sedere e osservo con un sorriso di gioia le altre persone che nel piccolo locale stanno giocando.
Com’era? “Persone bellissime nell’intimità silenziosa del gioco che fanno in un pubblico che è assolutamente privato, in un modo privato che è un privilegio poter osservare in pubblico”. E’ ancora così: i corpi rilucono di una bellezza ultraterrena, trasfigurati dal vivere la parte più intima di sé. Le teste si reclinano e le schiene si inarcano, abbandono e tensione, contatto e dolore.
Viversi in pubblico accentua il piacere di sentirsi accettati, di potersi mostrare per chi si è nel proprio profondo; condividere sensazioni private, intime. E’ un dono inestimabile e lo osservo con gioia e rispetto.
Le ragazze che tengono gli occhi chiusi avvolte dalle corde, appese in un dolore che è piacere, in una costrizione che è volo. Gli slave stesi a terra sotto i piedi delle Miss, felici di poterli sentire addosso. I suoni secchi dei colpi che superano persino il frastuono assordante della musica e sono una melodia che risuona nei visceri più di qualsiasi basso.
Sento il mio Padrone chiacchierare ed è un piacere sentirLo e vederLo accanto a lei. Si sente ciò che c’è tra loro, qualsiasi nome gli si voglia dare: è una leggera elettricità fatta di sorrisi e sguardi. Tengo il mio basso e mi limito a lasciare che questa elettricità mi increspi la pelle, mentre il Padrone mi tocca e mi schiaccia e mi tormenta i capezzoli come se stesse facendo ghirigori su un foglio di carta mentre chiacchiera. Mi sento usata e mi sento Sua, a disposizione.
Al mio posto e felice.