unouno-uno-(venti)uno

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Lo ammetto, riprendere in mano il blog nell’anno nuovo in questa data, giocando sul fatto che ci sono tanti “uno”, è un giochetto alla Coscienza di Zeno. E’ un pretesto, alla fine. Certo, avrei dovuto pubblicare questo post alle 11.11 stamattina, ma ormai è andata.

Cos’è successo? Cosa sta succedendo? Ma soprattutto: da quanto tempo sta succedendo? Troppo tempo. La pandemia continua, com’è ovvio, eppure questo continuare senza un termine chiaro in vista, con un protrarsi di fatica, di tensione, di restrizioni, sta tirando i nervi a tutti. Anche a me, e da un pezzo; faccio persino fatica a capire quanto i miei stati d’animo siano appesantiti da tutto questo, fatico a riconoscere gli effetti, da tanto sono persistenti.
Non ho mai visto il mio divano e casa mia così tanto come nel 2020; ho pranzato in giardino più volte che in tutti gli anni precedenti; ho provato paura, ansia, fatica, malessere e speranza. Ho fatto il punto della mia vita – non credo di essere granché speciale, ho idea lo abbiano fatto più o meno tutti. Ho perso dieci chili, ripreso a seguire corsi, sto cercando un nuovo lavoro.

Ho voglia di scrivere.

Sento le sensazioni scorrermi sotto la pelle; il desiderio dell’impatto, delle corde, di trovarmi finalmente in un dolore e in una fatica che conosco, che mi rimettono insieme, che mi ricongiungono con il mio corpo, che mi fanno sentire piacere oltre il dolore. Appesa per una sottile corda, costretta in punta di piedi, le braccia dietro la schiena, le gambe unite e tu che mi giri intorno, che stringi una corda, ne allenti un’altra, mi strizzi i capezzoli, mi colpisci le carni rese sensibili dalla compressione. Tu che mi riporti a me, che mi fai scendere nel mio e mentre mi aiuti a risalire mi fermi e mi lasci indulgere ancora un poco nel dolore che mi doni.
Ansimo sul pavimento e sono finalmente lontana dalla fatica quotidiana, abbandonata a una sofferenza che amo.

Mi riallinei a quella parte di me che è il mio fulcro. Lo sento. Lo vivo.

Ho voglia di raccontarlo.

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