Le ferite che ci infliggiamo

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In seguito ad incontri e confronti che ho avuto nella community poli e bdsm mi è sorta questa riflessione, che ho impiegato parecchio a mettere in ordine nella mia testa e a scrivere.

Una delle basi imprescindibili di un rapporto D/s (come di ogni altro, ma qui è enfatizzato) è il consenso: le parti entrano in un rapporto di scambio di potere previo consenso libero, informato, entusiasta, come si dice. La parte sottomessa acconsente liberamente a cedere alla parte Dominante il proprio potere, ovvero la propria libertà, volontà, capacità decisionale, entro i limiti concordati, che possono essere più o meno ampi, conformemente a quanto viene negoziato prima dell’inizio del rapporto.
Poi, nel corso della relazione, sarebbe bene rinegoziare, ogni tanto. Verificare che tutto stia andando bene, che i limiti siano ancora quelli giusti (in caso stringere o allargare), eccetera.

Sono queste cose risapute, condivise, anche se non sempre così bene applicate; perché si sa, sulla teoria siamo tutti ferratissimi, ma nella pratica talvolta alcune cose scivolano, perché sono noiose, lunghe, ovvie, ne abbiamo già discusso, non serve parlarne.
In questo caso è (relativamente) facile accorgersi che qualcosa non va come dovrebbe. Se uno dei due sente che c’è una cosa di cui si dovrebbe parlare, perché stona, o non torna, o semplicemente sente di averne bisogno, bisognerebbe appunto parlarne, e se la controparte si scansa, beh, è una red flag, come si dice in gergo: un segnale di pericolo.

Ci sono altre situazioni, però. Meno facili da individuare, meno chiare, meno nette; più liminali, sottili. Le bandiere non sono rosse, qui; forse ci sono ma sono di altri colori e non si individuano così facilmente; o forse non ci sono, perché non ci sono persone che si comportano male o con malizia.

Succede allora che ci infliggiamo ferite e non sappiamo come.

Una volta entrati nelle profondità del D/s ci si trova in un mondo caldo, liquido. Un mondo sotterraneo di desideri, sensazioni, emozioni viscerali.
Una volta ceduto il potere ci si sente meravigliosamente; ci si sente al proprio posto, accompagnate, protette, gestite: senza responsabilità. L’unico obiettivo diventa soddisfare il Padrone, ed è molto bello.
Allora, però, dove va a finire la negoziazione? Se si parla, si riesce a parlare? Si riesce a comunicare chiaramente, sinceramente? Intendo: si riesce a dire la propria verità senza che questa venga sovrascritta dal compiacere il Padrone?
(Avevo anche tradotto e pubblicato qui un articolo che ne parlava, su come comunicare mantenendosi sottomessi.)

Nella mia esperienza, in passato, ho vissuto alcuni momenti in cui, estremamente coinvolta nel D/s, profondamente sottomessa, nella comunicazione io non ho dato un consenso entusiasta, quanto piuttosto un’obbedienza entusiasta.

Le due cose si assomigliano molto, a un livello di percezione. Ero convinta del mio sì. Nessuno mi ha forzata né manipolata. Ma in me ardeva un desiderio feroce di soddisfare il Padrone; dunque, il mio consenso era libero, visto che io non lo ero?
Vivendo il D/s con così tanta forza, questa questione diventa spinosa, liminale, complessa. Ovviamente non si applica ad ogni relazione in ambito BDSM. Ma per chi lo vive con un coinvolgimento molto forte, può diventare un problema.

In tutto questo, che responsabilità può avere la parte Dominante? Come si dice spesso: un Dom, per quanto bravo, non può leggere nel pensiero, ed è vero. Se chiede consenso e questo viene dato, quali strumenti ha per capire se è sincero o no? O meglio: per capire se è libero o guidato dall’obbedienza? Perché quanto a sincerità, essa è indubbia; ma nella testa del sub l’obbedienza è una forza trainante, potente, che sovrascrive ogni altra. Non si può affermare né che la sub abbia mentito nel dare il consenso, né che il Dom lo abbia estorto. E’ la dinamica stessa in cui vivono a complicare la questione. Però, questa sovrapposizione può portare, soprattutto a posteriori, a dispiaceri, sensazioni di tradimento, ostilità, recriminazioni. Da una parte come dall’altra.

Io so di avere dato talvolta un’obbedienza sincera invece che un consenso sincero. Ma so che ero sincera. Ho sofferto? Sì. Posso dare colpe al Padrone? No.

Credo che ci voglia una consapevolezza immensa: di sé, della controparte, della dinamica e dei suoi anfratti, e quindi dei suoi pericoli – non solo quelli fisici, legati alle pratiche, ma soprattutto quelli emotivi, legati alla relazione. Parlare di sicurezza in relazione alle pratiche è facile; alle emozioni, difficilissimo. E’ una discussione da fare anche a livello di community, sicuramente.
Non sono sicura che si possa evitare del tutto questo pericolo, questa confusione tra consenso ed obbedienza; ma sarebbe meglio esserne consapevoli e riuscire a creare uno spazio di comunicazione il più possibile sicuro e paritario anche nel D/s più verticale.

E questo non significa solo responsabilità da parte del Dom di accogliere questa comunicazione, ma anche responsabilità del sub di darla, di conoscere il proprio desiderio di compiacere, soddisfare, obbedire e non farsene guidare in questi momenti.

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