“Posso venire, Padrone?”
“No”
Ti fermi. Sposti la wand. Cambi movimento. Mi colpisci. Mi trattengo.
Una di queste cose, o prima l’una e poi l’altra. In un modo o nell’altro, interrompi la mia salita all’orgasmo. Cado, poi riprendo a salire, e poi di nuovo: bloccata in un persistente anelare senza potermi sfogare.
Così la sessione finisce, finisce la serata, l’incontro, il tempo insieme. E io non ho goduto.
Mi resta addosso una tensione irrisolta, feroce, un languore profondo nelle viscere; continuo ad ansimare, ad agitarmi, la bocca socchiusa, le mani che stringono il vuoto per non andare a toccarmi in mezzo alle gambe.
Desidero tantissimo godere, eppure sono soddisfatta: questa tensione, questo languore, mi riempiono come nient’altro. Mi cullo in questo mare in burrasca. Sono piena di te: dell’agitazione in cui mi lasci che mi sospinge a te e a te mi lega.