Stringi la corda più forte della legatura precedente, che era infatti morbida e mi aveva lasciata rilassata, tranquilla. Adesso le braccia sono strette al petto e la corda rossa mi comprime, abbracciandomi a me stessa.
Cambio respirazione, socchiudo gli occhi: ascolto le corde che girano, le tue mani che le fanno scorrere e passare esattamente dove vuoi che passino, dove devono.
Mi stendi a terra e mi pieghi le gambe, prima una e poi l’altra: i due futomomo sono diversi, ma entrambi stretti e il dolore diventa parte di me e io del dolore. Premi, strizzi, graffi e mordi: la carne compressa e gonfia reagisce più forte. Strillo e il dolore mi porta dall’altra parte, dove il tempo smette di esistere.
Mi giri sul fianco destro e colleghi la gamba sotto al torace, comprimendomi ancora di più.
Mi manca il fiato, ansimo: mi sento segare lo stinco dove c’è meno carne tra la corda e l’osso, sono chiusa e costretta e mi attraversa la mente il pensiero che se dovessi stare male ci vorrebbe un sacco per disfare tutto: così tante corde, così interconnesse, così collegate, che mi stringono a me stessa e mi rendono un pupazzo immobilizzato a terra. Emetto brevi singulti insieme ai respiri; sono in uno stato intermedio tra l’abbandono e la coscienza. Ti chini su di me e riesco a mormorare: fatica! Tu sorridi, dici: e pensa che ora passiamo ad un nuovo livello.
Ansimo e ho paura di non farcela, e insieme lo desidero. Leghi un’altra corda all’altra gamba, la tiri al bambù e mi sollevi da lì, aprendomi.
In un istante tutto cambia.
L’ondata di dolore mi travolge e mi sommerge, spazzando via tutto: pensieri, paure, ansimi, strilli. Respirare non è più un problema. Chiudo gli occhi e boccheggio, sospesa in un oceano buio e calmo. Allenti la corda della sospensione e mugolo, risollevando io stessa la gamba, alzando la testa. Non riesco ad articolare nulla ma intendo: no, non farmi scendere, non tirarmi a riva: lasciami immersa, affondami in questo dolore così dolce, così caldo; lascia che senta tutto, che questo sentire mi accolga e mi culli.
Tiri ancora la corda in alto e mi tuffo di nuovo, più in profondità. Lampi di dolore mi accompagnano come correnti sommerse.