Ho letto un articolo interessante sull’esistenza di un’esperienza che viene chiamata slavespace. Si tratta di una cosa molto diversa dal più noto subspace.
Quando un sub va in subspace, è interamente concentrato su sé stesso. Io, infatti, mi perdo in una sensazione soffusa e allo stesso tempo dilatata, in cui sento moltissimo ed insieme ho una soglia del dolore molto più alta; fluttuo dentro me stessa ed attorno allo spazio circostante, assorbendo ogni stimolazione.
Lo slavespace invece si impara a conoscere più facilmente durante una punizione, non durante il gioco, ed è una percezione amplificata ma proiettata verso fuori di sé, verso il Padrone. Inizia con lo smettere di lamentarsi della punizione e con l’accettare interamente, senza più riserve, il proprio ruolo. Poi, cresce a diventare una consapevolezza di sé, del ruolo, che si può presentare anche al di fuori della punizione.
Scrive l’autrice dell’articolo: “Il subspace è un posto estremamente piacevole dove stare; lì, non considero affatto il mio Padrone, ma ogni mia energia è rivolta al mantenermi in quello stato alterato di percezione di piacere.
Nello slavespace, al contrario, non sono affatto concentrata su me stessa, ma ogni attenzione è rivolta al Padrone. E’ un luogo dove posso obbedire e servire con un senso di soddisfazione mentale pari a quella fisica del subspace, ma senza l’egoismo del subspace”.
Incorro in una cosa scritta dal mio Padrone: la mia punizione consiste nel privarmi del gioco; ma, nel punirmi, anche Lui si priva del gioco. Così, la mia punizione è doppia, perché devo portare il peso anche della Sua mancata soddisfazione.
Rimango un attimo ferma a rileggere quelle righe. Ancora, lo slavespace è un luogo distante da me: non avevo pensato al fastidio del Padrone nel non giocare; ero rimasta compresa nel mio dispiacermi per me stessa per essere punita e a bocca asciutta. C’è un passo ulteriore che devo fare, che ancora non ho fatto, che vedo ma che non mi appartiene completamente.
Abbandonare me stessa in Lui.