Cammino come instupidita, anestetizzata. Galleggio dentro la mia testa, pilota inesperta del mio stesso corpo.
Quando finalmente esco, alzo la testa nel sole e laggiù, dietro le case, gli alberi, brillano candide le montagne; di colpo inspiro, respiro di nuovo.
Tutta la pioggia che è caduta ieri, quella pioggia fitta, insistente, gelida, triste, sotto la quale ho camminato senza aver voglia di sbrigarmi, tutta quella pioggia in montagna è divenuta neve. In un altro posto, nello stesso momento, quella tristezza era meraviglia.
Ed ecco che capisco che anche se sto male non è senza scopo. Quella fatica, quel dolore, si mutano in qualcosa di bello.
Voglio essere lì: in mezzo alla distesa candida della neve, al freddo. Perché quel freddo mi svegli, mi dia la forza di accettarlo e accoglierlo. Perché la sofferenza non è nulla davanti all’immensità della perenne gelida distesa dei monti innevati. Se anche soffro, vengo ripagata con le stesse lacrime di sangue del mio cuore; sanguino volentieri e con gioia perché allo stesso tempo percepisco il mio petto dilatarsi, espandersi e raggiungere nuove vette di consapevolezza.
Ascolto dubstep a palla ed è quasi come essere con Lui. Annego i pensieri in quella musica così poco musicale, ma così forte da travolgermi e lasciarmi tramortita e felice.
La tensione si sfoga, esplode da in mezzo alle mie gambe; resto placata per un po’ e poi torno a tendermi, non più storta ma diritta, affusolata. Mi inarco verso di Lui, per Lui, e spero che vorrà presto giocare ancora con le mie corde, far scattare quest’arco.