La “r” di “rosso” che tremola tra la lingua e i denti; produce bollicine sul palato ma non esce.
Ho goduto?
Non lo so. Troppe sensazioni, piacere, dolore. Il vibratore sulla figa, i colpi sul culo.
Forse ho goduto: i colpi successivi fanno estremamente male, sono più sensibile.
Forse no: la tensione non si allevia anche se il clitoride ormai mi duole e basta; anche il piacere è diventato una tortura.
So solo che strillo e salto.
E quando il cane cala per l’ennesima volta, sulla coscia stavolta, urlo un urlo di gola, di dolore che morde atroce e crudele e in quel momento lo sento: sento il Suo piacere sadico nell’infliggermi quel dolore che è solo terribile dolore – e non dico la safeword. Aspetto il colpo gemello sull’altra coscia (che non tarda ad arrivare) e mi contorco.
Una parte di me si dispera: perché mi odia? perché mi fa questo? Ma un’altra parte sa: questo è quello che ho scelto, questo è quello che voglio. Mettermi al servizio del Suo piacere, abbandonare il mio solo desiderio egoista e lasciare che Lui si diverta. Il mio piacere non sia più solo il rumore bianco di un orgasmo devastante che annebbia il cervello, ma sia il faticoso assaporare di riflesso ciò che Lo rende felice.
Aspetto ancora qualche attimo, la safeword arrotolata sulla punta della lingua, abbarbicata e pronta; comunque non posso, non potrei proseguire, non ce la posso fare più. Ma Lui posa gli strumenti.
Mi accarezza, mi passa le mani calde sulle cosce martoriate. Ha finito, capisco che ha finito. Mi rassicura, mi blandisce senza dire una parola; solo le sue mani addosso, a contatto, delicate ora.
Non mi sta davvero accarezzando; non sono propriamente coccole. Mi passa le mani sui segni e so che apprezza i solchi in rilievo lasciati dal cane. Il suo gesto è deciso, forte senza essere duro. E’ sempre la mano del Padrone, solo di diversa qualità.
Mi morde, sento il sentore umido della Sua bocca, i denti che mi stringono la carne. Penso: mi divori, Padrone; non lasci nulla di me.
In quel momento smetto di singhiozzare ed il respiro mi si fa più calmo, lento e profondo. Lentamente, ritorno.
Mi fa alzare e mi accompagna a stendermi alla mia cuccia; barcollo e crollo distesa. Mi accarezza la testa e mi stende addosso una coperta di pile azzurro; ne assaporo il tepore.
Senza quasi accorgermene, scivolo in un confuso dormiveglia fatto di immagini della sessione appena conclusa, delle voci dei Padroni che chiacchierano, del bruciore dei segni sulla carne che struscia sulla stoffa.
Mi lascio avvolgere in quell’oblio, e riapro gli occhi solo per guardarLo.