Questo fortissimo senso di aspettativa che mi travolge, che mi ingloba tutta come una bolla densa e vischiosa, non ha un oggetto preciso; non mi aspetto un determinato avvenimento. E’ un’aspettativa generale, rivolta all’esterno, protesa a cogliere tutto quello che può arrivare. L’unica cosa che fa, è essere sicura che qualcosa sicuramente arriverà, e sarà grandioso.
Così, anche un’aspettativa senza oggetto può venire delusa, se non accade nulla.
Ma il destino non è forse nelle mie mani?
Quindi a fine serata (nottata) prendo la mia aspettativa con entrambe le mani, la affronto e le dico: d’accordo, poteva essere meglio; ma ora, basta lamentarci e andiamo a divertirci.
Perché nel mio essere proiettata verso gli altri, nella mia tensione di soddisfare sempre il prossimo, dimentico cosa piace fare a me. Anzi, forse non mi sono mai nemmeno posta la domanda, di cosa piacesse fare a me. Mi metto in coda e attendo un mio momento che non arriverà mai, a meno che io stessa non me lo crei.
Così, facendo una cosa che amo, tutte le volte mi stupisco di quanto mi piaccia farlo, e mi chiedo perché non lo faccia più spesso. Mi accade scrivendo. Mi accade ballando.
Ballo e tutto il mio corpo si libera di un’energia compressa, trattenuta troppo a lungo.
Il giorno dopo mi resta addosso una sensazione sorridente, una vaga malinconia, un po’ di amaro e la calda promessa che mi dona sapere che sto imparando, un poco alla volta, a comprendermi e a dare libero corso a ciò che mi scorre dentro. Alla vera me stessa.