“Braccia in fuori”, mi dice.
“Braccia in fuori”, ripeto a mezza voce, mentre il mio cervello, rallentato dall’intensità dalle sensazioni, elabora il senso di quelle semplici parole. Allargo lenta le braccia.
Mi pizzica la carne sui lati del corpo, sotto le braccia: mi attacca mollette.
Resa cieca dalla benda, mi trasfiguro. Non sono più io: il Padrone mi trasforma in un meraviglioso uccello, le braccia come ali, le mollette piume che mi adornano.
Posso volare, lo sento.
Volo.
Il Padrone mi allarga di più le braccia, mi apre e spicco il volo. Le mollette appese ai seni, alla carne morbida del pube, alle braccia, ai fianchi non sono che piume meravigliose, che immagino colorate, superbe.
Il Padrone tira le mollette ed il dolore mi porta in alto, in alto: un volo vertiginoso che non cessa quando queste piume mollette mi vengono strappate di dosso, anzi mi avvita in un’ascensione folle.
Grida come stridii d’aquila mi salgono dalla gola mentre mi inarco in direzione opposta per facilitare lo strappo; vorrei che questo volo non finisse mai, anche se so che non potrei reggere per sempre una simile accelerazione.
Plano infine nella copertina di pile, la pelle accesa, la mente obnubilata.