Pilates

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Lunedì mattina; sonno, doccia, caffè e vado a pilates. Non mi esalta, ma mi è necessario per placare il mal di schiena. Una lezione individuale a settimana.
Una lezione, due, tre. Inizio a familiarizzare con gli esercizi, con le macchine. L’istruttore è un ragazzo alto e simpatico; anche lui ha un’aria sonnolenta il lunedì mattina, ma è molto bravo e mi segue passo passo negli esercizi, spiegando e puntualizzando i movimenti perché li esegua al meglio, affinché siano efficaci.
“Fletti i piedi; giù quelle spalle; tieni il bacino attaccato alla macchina; dentro quella pancia; apri, spingi, richiudi con controllo; rilassa le spalle; premi forte a terra con le mani; scava dentro la pancia; di più; tieni giù il bacino; chiudi le costole; lavora qui dietro, tieni giù le spalle; scava di più la pancia; dai, bene; di più”.
Mi tocca dove devo tirare, flettere, spingere, rilassare. Ha il tocco professionale di chi lavora coi corpi delle persone: un tocco forte e preciso ma impersonale, mai intimo. Non mi sento molestata, affatto. Mi tocca per aiutarmi, e mi tocca i deltoidi, i trapezi, gli addominali: mi tocca i muscoli, non tocca me. La sua voce è forte e perentoria. Cerco di eseguire gli esercizi al meglio. Lo sforzo, oltre che fisico, è mentale nel cercare di isolare i gruppi muscolari.
Poi, una mattina.
“Appoggia qui i piedi; afferrati con le mani; raddrizza la schiena e cresci; cresci qui, tra le costole ed il bacino; no, tieni giù le spalle; allunga il collo; cresci, allunga; allontana le spalle dal collo, forza”.
La sua mano mi scorre sul collo, da sotto in su, e mi afferra per i capelli. Mi tira la testa verso l’alto, tenendomi per i capelli piano, senza farmi male, ma con decisione. “Allunga il collo, cresci”, dirige.
Io sento la pelle del collo incresparsi. Un brivido silenzioso mi percorre. Stringo le labbra e cerco di concentrarmi sull’esercizio, finché non mi lascia andare e passiamo ad altro.
Dopo, cammino un po’ di traverso, lentamente. Malinconica.
Mi manca così tanto, che pure questo tocco così professionale, così tecnico, mi ha trascinato con sé nel momento in cui mi ha presa per i capelli. Un desiderio di dominazione, di essere presa e strattonata; un desiderio forzatamente sedato, obbligatoriamente rimandato per gli impegni di lavoro. Un desiderio che c’è, che ho, che mi appartiene. Anche se a volte faccio finta che non ci sia.

2 comments

  1. Eh, proiettiamo queste cose nelle attività di tutti i giorni, capita anche a me. Al mio istruttore, che mi ha fatto una grattatina in testa mentre ero accovacciata a togliermi i parastinchi, avrei voluto dire “bau bau, mi sento molto cane in questo momento”… Ma non si può dire!!! Ahaha

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