Non ho mai provato prima gli aghi; anzi, erano un limite, fino a che non ho visto il mio Padrone farli ad un’altra sub ad un play party.
L’attenzione, l’intensità del suo sguardo, la decisione e precisione del gesto; la punta d’acciaio che scivola nella pelle con estrema facilità; l’aria concentrata eppure rilassata della ragazza stesa sul lettino. Il senso di abbandono, di connessione che si crea si espande nell’aria come una nube densa che mi avvolge e mi fa desiderare di provarlo.
Seduta sulla sedia, abbraccio lo schienale; non so se ho freddo, ma tremo. Il primo ago entra che quasi non lo sento; il secondo invece duole; il terzo non so. E via così.
In pochi attimi la mia mente si scioglie e scende a riempirmi il corpo. Gli aghi entrano ed espandono la mia percezione finché non c’è più testa, ma solo corpo. Accade in silenzio, per espansione, senza strappi, senza colpi. E’ tutto molto lento e tranquillo – non come una sculacciata, o l’impact play in genere. Quello, letteralmente, colpisce. Qui invece è un progresso lento, il dolore è diffuso, denso; è un lento salire della marea, invece che un’ondata che si frange sul riff. Mi riempie e me ne lascio riempire.
In alcuni momenti mi sembra che non sia nemmeno doloroso; in altri mi sembra di non poter sopportare nemmeno un altro ago. Inspiro; espiro. Mi viene offerto un bicchiere d’acqua; non ho sete, ma lo accetto per autoconservazione. So, sento che le mie percezioni ora sono falsate, amplificate, ridotte, distorte. Non sento certi stimoli, esisto solo in alcune sensazioni.
Non è solo il pungere e lacerare dell’ago che penetra nella carne; è sentire gli aghi conficcati, presenti. Non mi permettono di dimenticarli, anche se non li vedo. Ogni ago che entra mi distrae per un secondo, e poi sale a sommarsi agli altri, a colmare un vaso che sono io. Mi obbligano ad essere presente ed insieme ad abbandonarmi in una dolce assenza: vivo sospesa in un dolore diffuso, sordo, persistente che mi culla e mi obnubila.
Le ali che mi trovo conficcate nella schiena mi fanno volare in alto, vicino al sole, ma non si sciolgono perché sono d’acciaio.