Il sapore dolce del dolore

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Per un brevissimo istante eterno, credo che stia per baciarmi. Ne sono quasi sconvolta. Ma non lo fa.
Si sporge verso di me: la sua barba mi sfiora le labbra, le guance. Io in piedi, nuda, decorata di mollette di legno, che mi contorco di dolore; lui vestito, pacato, bisbiglia al mio orecchio: “Tutto bene?”
Ed io d’improvviso smetto di ansimare, di tremare, di avere paura; smetto di soffrire, le endorfine mi riempiono le vene, mutando il dolore in desiderio. Sgrano gli occhi e inalo la Sua presenza, me ne inebrio; annuisco: sì, va tutto bene, ora.
Con studiata lentezza mi appende addosso ancora mollette; gemo. Le strappa a grappoli, di colpo. Urlo, barcollo; mi afferra al volo, mi tiene e mi riporta in piedi. Il dolore allora non è più una sofferenza ma un dono che Gli faccio, che Lui fa a me.
Mi salgono le lacrime agli occhi ma sono lacrime di gioia, di meraviglia per sentirLo così vicino, per le Sue mani che mi passano sul corpo prima e dopo i colpi, che mi strizzano e mi coccolano; è gratitudine per le carezze sulla testa, per gli abbracci che mi tengono al mio posto.
Non alzo lo sguardo; non ricambio gli abbracci; non mi sporgo per andarGli incontro. Premo solo il viso contro di Lui quando mi stringe; non oso muovermi, ma sono Sua.
Mi lascio fendere dal Suo tocco, solcare dalla Sua volontà. Sono un mare in burrasca, tumultuoso in superficie, tagliato dalla Sua prua, e placido nell’immensa profondità che mi dona.

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