Sento il sibilo leggero della frusta che rotea nella mano del Padrone.
Ad ogni sibilo corrisponde una riga dolorosa che mi segna il culo.
Gemo, il viso affondato nel lenzuolo: non voglio gridare, non voglio che si fermi.
Il dolore pungente della frusta non mi è più così insopportabile come un tempo; lo accolgo, lo sento. Il dolore mi attraversa la carne e mi fa vibrare le viscere, annebbiare la testa.
Un gesto brusco mi fa allargare le gambe, l’improvviso ronzio della wand mi fa sobbalzare. “No”, imploro. La vibrazione sulla figa è insopportabile: rifiuterei un orgasmo? Sì, lo rifiuto, non lo voglio, ciò che desidero ora è il dolore. Tutta la mia percezione era proiettata lì, sul dolore: questa sensazione violenta in mezzo alle gambe ora mi distrae, mi distoglie da quel piacere, mi deruba del masochismo per impormi un altro piacere.
“No, no!”, imploro ancora, mentre la vibrazione mi apre in due e non posso fare altro che godere.
“Godo, Padrone”
“Godi, troia”
Grido un orgasmo violento, doloroso, feroce, non voluto, che mi sconquassa le carni.
Quando la frusta scende di nuovo sibilando, strillo e mi agito, la pelle resa più sensibile dal piacere provato. Non la reggo più.