Gettata sullo sgabello reclinato, strillo mentre mi batti con uno strumento che non capisco, duro, feroce. Non ti fermi, non mi dai respiro. Urlo e mi agito, cerco di prendere fiato, di inghiottire, di scavalcare il dolore per arrivare di là. Sento il sedere farsi rosso e bruciare, la testa avvolta nel cappuccio, gli occhi chiusi.
Poi, vado.
E’ un improvviso zoom indietro, discendo dentro di me. I muscoli si rilassano mentre i colpi diventano più sottili, taglienti, mi attraversano come lame di luce. Non emetto più un suono.
E poi mi dici di girarmi.
Non vorrei. Vorrei restare stesa così, bocconi, e che tu mi colpissi di più. Non mi va di spostarmi ed uscire dal subspace. Ma non intendo nemmeno disobbedire od oppormi. Così, lentamente, mi sollevo e mi giro, gli occhi semichiusi, ostinata a restare nella mia bolla. Mi fai stendere sulla schiena, reclinata all’indietro. Temo mi farà male la schiena ma sono nel mio mondo, nel tuo regno, mi fido e vado giù.
Mi colpisci davanti.
La quirt scende e mi spazza, danza sul mio ventre e sul seno, accarezzando e tagliando. Quasi non riesco a crederci. Sono anni che non vengo colpita davanti, e mi è mancato così tanto.
Non so bene se e quando esco dal subspace. Forse non ne esco, in realtà; torno a emettere singulti, ma non di dolore stavolta, o non del tutto: sono versi di quel luogo intermedio, segreto, sommerso, che sta tra il dolore e il piacere, un mondo di endorfine e sensazioni confuse e bellissime.
Mi fai alzare in piedi, le mani dietro la nuca, e mi frusti ancora e ancora e ancora. Barcollo; ad un certo punto quasi cado da tanto ho la testa leggera. Sto godendo con tutto il corpo, attraverso la ferocia della frusta e il vorticare tumultuoso delle sensazioni che mi percorrono, che mi stai donando.
Dopo, mi dirai che è stata la prima volta che colpivi sul davanti. Mi commuovo di gratitudine per questo onore immenso.