Adesso ho più domande che risposte. Più riflessioni che azioni.
Ogni tanto (ogni volta che serve, e si capisce quando serve, se ci si ascolta) mi faccio delle domande: su chi sono, cosa faccio, perché desidero quello che desidero, cosa mi ha portato ad essere chi sono.
Posso migliorare? Il miglioramento cui penso è qualcosa che mi appartiene, che desidero io, o che mi viene stimolato da fuori? Ma anche: questo stimolo esterno è motivato, sensato, fruttuoso, coerente? O è forzato, peloso, manipolatorio, inadatto? E’ un input che mi invia l’universo per sospingermi perlomeno a riflettere? Questo sicuro. Sta a me comprenderlo e farlo mio o lasciarlo andare.
Leggo, studio, mi confronto con altre persone, provo a cercare punti di vista differenti, idee, suggerimenti, indicazioni, esperienze altrui da cui imparare. Cerco di uscire dalla mia bolla.
In questa apertura succede che arrivi quella sensazione: un improvviso vuoto allo stomaco, il cuore che salta, la bocca si apre e gli occhi si spalancano: è il riconoscimento. Una cosa che ho visto, letto, sentito è arrivata. Ha colto nel segno dentro di me, l’ho riconosciuta per vera, è qualcosa che mi serve, che devo raccogliere e curare, approfondire: mi cambierà. E’ una chiave di lettura, un chiarimento su me stessa, sulle mie motivazioni, sui miei reconditi meccanismi, sulle mie emozioni.
Di colpo torno attiva, mi smuovo se ero ferma, mi rassereno se ero cupa: ho ritrovato la via. E si va.
Non è che tutte queste domande, soprattutto quella se ti puoi migliorare è perché inconsciamente cerchi la perfezione che umanamente non esiste?
Potrebbe essere, è un’ottima riflessione