Si avvicina piano, dice: ciao. Come a dire: anche tu qui, che coincidenza. Come non fossimo appena arrivati in questa stanza insieme con intenti chiari e condivisi. Sorrido: è un modo di iniziare, di segnalare l’inizio di un nuovo tipo di interazione: finite le chiacchiere, si gioca.
Ho sempre quel momento di timore: chissà se mi piacerà.
Mi solleva l’abito sopra la testa e lo accompagno nel movimento per toglierlo; invece si ferma, me lo avvolge intorno al capo bloccandomi anche le braccia e mi tocca. Buio, chiusura: il respiro si fa più profondo. Sento la sua presenza, vicino. Mi colpisce sul sedere. Inizia così ed è perfetto, con così poco sono già nello stato d’animo giusto, divento ricettiva, aperta. Dopo un attimo finisce di sfilarmi il vestito e mi accompagna alla croce per legarmi. Accolgo i colpi di tutti gli strumenti e delle sue mani con gratitudine e calore.
Allora funziona, penso.
Funziona lo stesso, anche se non c’è un rapporto D/s verticale e distaccato, anche se non ci sono protocolli, anche se non c’è tutta la sovrastruttura mentale. Funziona anche da play partner, senza tutto il rigido impianto che credevo così indispensabile.
Ora comanda il corpo con le sue sensazioni, donando le mie reazioni in risposta al dono delle sue azioni. Ascolto, accolgo, gemo, strillo, canto persino.
Tengo gli occhi chiusi e lascio che funzioni.