Onirica – I

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Sono in una stanza con un letto con un copriletto rosa antico; forse è un locale, c’è una festa, ma sono da sola, non accompagnata. Mi gira attorno un uomo di una cinquantina d’anni, capelli bianchi ed occhi scuri, in pantaloni e camicia neri. Forse ha un drink in mano. C’è anche altra gente, che intravvedo intorno.

Mi sveglio ed è mattina molto presto. Penso: peccato, sarebbe potuto essere un sogno interessante. Vado in bagno, poi torno a letto a dormire ancora. Incredibilmente, riesco a riprendere il sogno da dove l’ho lasciato.

Il tipo mi ha circuita e ho deciso di giocare con lui. Ci approcciamo, gli sorrido, mi sorride. Ha l’aria di uno che sa quello che fa, anche troppo. Mi lascio mettere a novanta sul letto – ma forse è un tavolo, non capisco. Lui mi dice qualcosa che non ricordo e gli rispondo: “Guarda che io ce l’ho un Padrone”. Non voglio che si faccia troppi viaggi.
Lui sembra sorpreso, interessato; risponde: “Ah davvero, hai un Padrone? Ma è giovane, ha poca esperienza? Se vuole posso dargli qualche lezione, insegnargli”. Lo guardo aggrottando le sopracciglia: chi si crede di essere? Rispondo: “Intanto vediamo come va questa sessione, poi vedremo se sei in grado di dare lezioni”.
Lui ridacchia, mi preme giù e mi bisbiglia all’orecchio una parola strana, in francese, che non so che significa. Capisco che sarà la mia safeword e la ripeto due o tre volte per essere sicura di ricordarla e di pronunciarla giusta. Lui annuisce e va dietro di me.
Mi dà quattro pacchette leggere sul culo; mi tendo, aspettando la botta forte, ma lui si gira e si allontana. Subito resto interdetta, penso: che cazzo fa? Poi torno a tendermi: dev’essere una strategia per farmi anelare, penso. Ansimo, poi mi giro a guardarlo e vedo che si sfila i pantaloni. Torno ad aggrottare le sopracciglia: spero bene che non finisca che vuol solo scoparmi, perché è l’ultima cosa che m’interessa.
Stacco.
Stiamo facendo come la lotta sul letto di prima, mi preme sotto di lui, mi rigira. Mi diverto finché non lo vedo togliere il cappuccio ad una siringa. Mi agito violentemente, cercando di divincolarmi, ma mi trattiene strettamente le gambe. Grido: “No, no, ehi, non voglio!” – e dico la safeword. Lui mi ignora e mi inietta quella che so essere droga nel ginocchio sinistro. Io m’incazzo. Finalmente mi lascia andare.
Mi tiro a sedere e glie ne dico di tutti i colori. Lui fa spallucce, mi dice: “Ma dai, avrai delle sensazioni incredibili; e vedrai che effetto che avrà su di me, sarà grandioso”, e capisco che intende che la droga gli farà avere un’erezione notevole. E’ in camicia nera e boxer bianchi, larghi, a righine rosse.
Io mi inalbero: “Ma non capisci – gli grido – Se mi droghi, io non saprò mai se quello che sento saranno sensazioni mie o date dalla droga; se saranno sensazioni che sorgono dal gioco, da quello che mi fai, da te, o dalla droga. Non intendo giocare così, neanche per sogno”.

Infatti, mi sveglio.
Resto a letto a rimuginarci su un po’. Che fase rem sprecata, penso, per un sogno così insulso, inutile. Eppure, quello che ho detto al tizio, seppure in sogno, è vero. Il mio inconscio mi supporta; quello che provo nel bdsm, voglio che sia mio. Che mi appartenga e che sorga unicamente da me, dal mio Padrone, dall’alchimia che si crea tra noi grazie al bdsm stesso.

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