Che rumore fa un limite che si infrange?
È il suono della depressurizzazione della camera stagna del cuore, che perde quota e precipita nello stomaco.
Ci sono limiti come matasse di filo spinato, che al solo tentare di passare ti straziano le carni.
Ci sono poi limiti come fitti cespugli di rovi, attraverso i quali puoi riuscire a trovare, con fatica, un sentiero per passare; graffiandoti e scorticandoti, certo, ma spesso anche trovando succose more da gustare.
E ci sono limiti come teche di vetro. Attraverso la superficie trasparente puoi vedere quale tesoro vi sia conservato, che anela ad essere recuperato, che ti tenta e ti implora da dentro la sua lucida soffocante prigione. Si può allora sicuramente trovare la chiave o il meccanismo per aprire la teca, con tempo e pazienza; ma si può anche talvolta dare retta al cartello che dice che in caso di emergenza – ovvero nell’occasione giusta – si può rompere il vetro. E quando l’occasione è giusta, è criminale e folle non coglierla per spezzare quel limite. Ecco, allora può essere che ti taglierai col vetro rotto, e che magari parta un allarme; ma avrai tra le mani ciò che era conservato nascosto in piena vista, dietro una barriera tanto dura quanto fragile.
Potrai allora scoprire che era proprio quella la cosa che volevi, e che era stata messa sotto vetro solo per paura che si rovinasse, o per una falsa superstizione che potesse far male – e lì restava a prendere polvere: un desiderio inespresso, una voglia negata, un bisogno sedato.